I miei primi mesi di lavoro in Coca-Cola furono estremamente importanti per la mia vita professionale e per il mio futuro di marketing manager.
Immaginati la scena.
Un giovane neolaureato con il massimo dei voti, con la testa
ancora piena di concetti per ora visti solo sui libri, ma con tutto l’entusiasmo
e la voglia di metterli in pratica. Matrici di Boston, analisi SWOT, marketing management,
distribuzione gaussiana – non vedevo l’ora di capire che significassero
realmente nella vita pratica lavorativa (a dir la verità, ancora oggi, dopo 20
anni di lavoro, faccio fatica a capire l’utilità di moltissime delle cose che
mi hanno insegnato all'università nel mondo del lavoro, ma questa è un’altra
storia).
Dunque, pensa a questo giovane laureato che si presenta in
giacca e cravatta (finora indossata solo in un paio di occasioni) al suo primo
giorno di lavoro.
E che dal secondo giorno di lavoro viene spedito fuori
dall’ufficio, in macchina, insieme a persone che lo guardano come fosse un
marziano (colpa della cravatta?).
Più precisamente, in affiancamento ai venditori che tutti i
santi giorni visitavano un certo numero di supermercati, per raccogliere
l’ordine ed effettuare misteriose attività che in Coca-Cola venivano
raggruppate sotto il nome di merchandising.
Beh, pensavo, il nome non suona male, è inglese, fa rima con
marketing, chissà che figurona con gli amici e le ragazze poter dire che lavoro
nel merchandising di Coca-Cola.
Tutto vero – la cosa che mi sfuggiva era che nelle attività
di merchandising era compreso il caricamento dello scaffale, la costruzione di
esposizioni di prodotto in mezzo ai corridoi dei supermercati, e tanto altro
ancora.
Capii ben presto che quello che mi serviva di più era il
taglierino per aprire la plastica che conteneva le bottiglie di Coca-Cola o
Fanta, anziché la conoscenza perfetta del significato di varianza statistica.
Tutto questo durò qualche mese, e poi fui rispedito in
ufficio, con una consapevolezza ben maggior di cosa dovessi fare per migliorare
i risultati delle mie attività meno operative.
E non finì comunque lì, perché successivamente affrontai
altri periodi simili, sul campo, in giro per sperduti paesini umbri a piazzare
adesivi sulle vetrine di negozietti dove facevano la spesa in pochi, o a
convincere baristi a comprare l’allora semisconosciuta Coca-Cola light.
Mi è servito? assolutamente si.
Penso che toccare con mano le problematiche della vendita sia fondamentale per poi lavorare con più successo nel marketing.
Sono convinto, infatti, che parte della professionalità di chi lavora
nel marketing e nella comunicazione vada
costruita nelle vendite.
Si. Proprio cosi. Consiglio a chiunque voglia diventare un buon marketing manager o voglia lavorare nella comunicazione di
passare almeno 2 anni nelle vendite prima di assumere il suo ruolo.
Altrimenti, si rischia di costruire professionisti del marketing
troppo distaccati dal mondo reale, impermeabili alla forse deludente
considerazione che qualsiasi prodotto, per quanto ben ideato, debba poi essere
venduto - nel largo consumo, in primis a
buyer o a negozianti che sono pieni del senso pratico che a volte manca nei
giovani product manager.
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